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POTERE AL POPOLO PER ECONOMIA E REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA


ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA
L'articolo 3 della Costituzione incompatibile con le scelte scellerate in materia di economia e finanza fatte dai governi di qualunque colore negli ultimi trentanni. Ribadiamo la necessità di cancellare lobbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e la volontà di disobbedire al Fiscal Compact.
Crediamo inoltre che sia urgente trasferire ricchezza dalle rendite e dai capitali al lavoro e ai salari, ricostruire il controllo pubblico democratico sull'economia contro disoccupazione di massa, precarietà, povertà.
Vogliamo colpire realmente l'evasione fiscale, che sottrae oltre 110 miliardi ogni anno ai salari e alla spesa sociale, e lottare per redistribuire la ricchezza tra chi ha sempre di più e chi ha sempre meno.

Per questo lottiamo per:
  •  unimposta sui grandi patrimoni: l'1% più ricco degli italiani detiene il 25% della ricchezza nazionale, 415 volte quello che posseduto dal 20% più povero della popolazione;
  •  il ripristino della progressività del sistema fiscale secondo il dettato costituzionale (art. 53), diminuendo le tasse sui redditi bassi e aumentandole su quelli più alti: l'Irpef, quando fu introdotta, prevedeva 32 scaglioni di reddito, con l'aliquota più bassa al 10% e la più alta al 72%, mentre ora gli scaglioni sono 5 con la prima aliquota al 23% e lultima al 43%;
  •  una lotta seria alla grande evasione ed elusione fiscale, a partire da quella delle grandi multinazionali (Google, Amazon, Apple..);
  •  la fine dei trasferi menti a pioggia alle imprese e della continua riduzione delle tasse sui profitti;
  •  politiche di contrasto dei rapporti con i cosiddetti paradisi fiscali da parte delle aziende italiane;
  • la fine delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni, il blocco della svendita del patrimonio manifatturiero, la ripubblicizzazione delle industrie e delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni passati;
  • la fissazione di un tetto per gli sti pendi e le liquidazioni dei grandi manager;
  • la nazionalizzazione della Banca dItalia e la creazione di un Polo finanziario pubblico per il credito a partire dalla ripubblicizzazione di Cassa Depositi e Prestiti per sostenere gli Enti locali in progetti di pubblica utilit e delle principali banche;
  • il ripristino della separazione tra banche di risparmio e di affari;
  • l'istituzione di una commissione per l'audit sul debito pubblico, in funzione della sua rinegoziazione e ristrutturazione, andando a         colpire la quota del debito detenuta dal grande capitale speculativo e per una conferenza internazionale sul debito.                                   Il debito pubblico italiano non dipende dallaver vissuto al di sopra delle nostre possibilit: il rapporto tra entrate e uscite dello stato in attivo, al netto degli interessi, da circa 25 anni (per 672 miliardi dal 1980 al 2012), ma ci siamo indebitati ulteriormente per pagare alla finanza privata 2.230 miliardi di interessi a tassi di usura.


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